Se il nome di Mike Laidlaw non vi dice nulla, difficilmente potrete comprendere la ragione fondante delle aspettative intorno ad Eternal Strands. Titolo di esordio di Yellow Brick Games, studio indipendente guidato dal designer canadese e composto da veterani Ubisoft, il titolo segna la nuova opera dal creatore di Dragon Age. Laidlaw infatti è noto proprio per aver ricoperto, in seno a BioWare, non solo il ruolo di creative director della saga dark fantasy ma altresì quello di lead designer e director dei primi tre capitoli.
Con un palmarès composto una delle IP più amate dai fan degli RPG e due capolavori all’attivo (di cui uno premiato dagli allori del GOTY 2014), la curiosità verso il nuovo progetto di Mike Laidlaw era dunque palpabile e pienamente giustificato. Eternal Strands abbandona tuttavia le atmosfere e le tematiche di Dragon Age per abbracciare un fantasy colorato, che trae evidenti ispirazioni da pietre miliari contemporanee nel contesto di un “nuovo e rivoluzionario sistema che consente dinamiche di gioco interattive“. Una chiosa ardita che racchiude speranze ed ambizioni per il team di sviluppo, che si è rivelata pace di dare una personalità ben distinta al progetto anche al netto di qualche piccola défaillance.
Eternal Strands è disponibile dal 28 Gennaio per PlayStation 5, Xbox Series e PC (via Steam). Il titolo sarà altresì a disposizione degli abbonati al servizio Xbox Game Pass Ultimate.
Versione testata: PlayStation 5
Lunga vita all’Enclave…?
C’era una volta l’Enclave, un territorio ricco e rigoglioso, centro nevralgico della vita magica delle terre di Mayda Basin. In questo posto, al contempo venerabile e rispettato, la magia veniva studiata, sviluppata e posta al centro della vita di coloro i quali ne praticavano le mistiche arti. Costoro, i Tessitori, inaugurarono un periodo di prosperità e benessere, interrotto tuttavia bruscamente da un’improvvisa ed inspiegabile di disastri arcani in tutto il mondo. Senza apparenti motivazioni, l’Enclave si isolò dal mondo esterno con una invalicabile barriera magica: il Velo. Al suo esterno, il resto di Mayda Basin scivolò in un’epoca di guerre e conflitti, ai quali seguirono tracolli economici e sociali.
Con la magia additata di essere la responsabile dietro ai problemi del mondo, i Tessitori rimasti confinati al di fuori del Velo vennero posti al margine della società e costretti ad una vita di nomadismo. Nel corso di una esplorazione ai margini del Velo, un giorno Brynn ed il suo gruppo errante si ritrovano rocambolescamente ad attraversare la barriera magica. Isolati dal mondo esterno ed impossibilitati a tornare indietro, la giovane Tessistrice dovrà svelare i segreti dell’Enclave, riportando alla luce misteri sepolti e tremendi pericoli.
La sceneggiatura di Eternal Strands si muove lungo tópoi cari al genere fantasy, offrendo una storia piacevole in cui il senso di scoperta viene spinto in avanti dal desiderio della scoperta del mistero dietro a quanto accaduto nel passato di questo mondo.

La scelta di muoversi all’interno di una comfort zone ha impedito di arricchire la storia di tocchi di originalità, a partire dalla stessa direzione artistica della produzione. Anche solo dando un’occhiata a pochi scorci, è chiaro che gli sviluppatori abbiano voluto sposare un design in grado di accontantere una vasta platea, attingendo a colori brillanti e concept derivativi che rendono abbastanza chiare le fonti di ispirazione. Non che questo sia un problema in senso assoluto, sia chiaro. Il comparto estetico è in fin dei conti piuttosto soggettivo, ma è innegabile constatare che siano state fatte scelte piuttosto conservative. Fortunatamente, più ispirazione è stata riversata nell’accompagnamento musicale, decisamente apprezzabile e sfaccettato in ogni frangente.
Dal canto suo, la presentazione complessiva non perde appeal grazie ad un comparto tecnico di tutto rispetto. Tenendo sempre a mente che si tratta di una produzione indipendente senza le risorse di un tripla A, Eternal Strands presenta un colpo d’occhio appagante, grazie anche ad ambientazioni vaste, variegate e liberamente esplorabili. Nella nostra prova su PlayStation 5 non abbiamo incontrato grandi imbarazzi di natura tecnica, se non in isolate situazioni straripanti di effettistiche ed elementi a schermo. Un traguardo non da sottovalutare.

Breath of the Colossus
Il cuore pulsante nonché vero selling point della produzione risiede nella elevata interattività data al giocatore nel corso della propria avventura all’interno dei territori dell’Enclave. Nel suo ruolo di Tessitrice, Brynn potrà sfruttare sfruttando le abilità magiche del proprio Mantello per incanalare la forza pura della magia e trasformarla secondo le proprie necessità. Ad una prima analisi, questo potrebbe apparire banalmente come un classico uso di poteri telecinetici, distruttivi attacchi piromantici o di interessanti abilità di criocinesi. La vera differenza di approccio proposta da Eternal Strands è data tuttavia dalle dinamiche interattive che è possibile instaurare tra questi poteri, gli avversari ed il mondo di gioco.
Riproponendo le regole fondamentali delle leggi fisiche, il fuoco sarà ad esempio capace di divampare tra la vegetazione e danneggiare specialmente i nemici dotati di pelliccia. Il gelo permetterà di innalzare muri difensivi contro gli attacchi avversari o creare ponti su passaggi altrimenti invalicabili. Con la telecinesi potrete scagliare i nemici oltre uno strapiombo, raccogliere massi per sfondare passaggi ostruiti e molto altro. Se poi le condizioni metereologiche sarannno avverse, alcune tattiche potrebbero non essere efficaci. Addirittura Brynn potrebbe soffrire il disporre di un equipaggiamento non all’altezza degli agenti atmosferici. Si tratta di una interattività pressocché totale nel modo di affrontare i combattimenti e l’esplorazione, che strizza l’occhio ai traguardi raggiunti da Nintendo con Breath of the Wild prima e Tears of the Kingdom poi.

Dove tuttavia Eternal Strands porta alle estreme conseguenze i suoi sistemi interattivi è nello scontro contro i nemici più maestosi. In queste fasi, il titolo abbraccia le migliori suggestioni da Shadow of the Colossus. Lo fa mettendoci di fronte alla necessità non solo di mandare al tappeto avversari di dimensioni spropositate, ma anche di studiarne le debolezze. Un concept, quello del classico Sony, ancora oggi magnetico, che diventa addirittura galvanizzante grazie alla interattività fisica permessa dal titolo di Yellow Brick Games. Qualsiasi cosa avrete in mente di fare tendenzialmente potrà essere realizzata, con evidenti ripercussioni ludiche.
Vi facciamo qualche esempio. Immaginate di avere davanti a voi un automa Ark corazzato e pesantemente armato. Dovrete anzitutto trovare i punti di debolezza delle sue protezioni per esporne le debolezze. Per farlo, potrete arrampicarvi liberamente su di lui, ma il colosso non resterà passivamente a guardare. Perché non distrarlo congelando i suoi piedi a terra, sfruttando il temporaneo immobilismo per arrampicarsi dalle caviglie? Oppure perché non restare a distanza di sicurezza ed usare la telecinesi per scagliare addosso massi ai punti deboli delle protezioni? Se al posto di un avversario antropomorfo il nemico fosse un drago, perché non tappargli la bocca fiammeggiante con il ghiaccio e renderlo inoffensivo? E se scappa, perché non sfruttare lo stesso potere congelante per appesantirlo quanto basta a rendergli impossibile il volo?

L’ho visto questo, l’ho visto, è un classico!
Missione compiuta dunque per gli sviluppatori? Sebbene l’evidente entusiasmo per le possibilità permesse dal gameplay, purtroppo Eternal Strands presta il fianco a più di una critica. Se abbiamo già accennato al carattere derivativo della direzione artistica, non possiamo non richiamare questo concetto anche in riferimento all’infrastruttura del game design. Eternal Strands chiede infatti di esplorare liberamente delle macro aree ricche di spunti e collezionabili. Sfortunatamente, le popola di una ripetitività di fondo figlia di una ricerca quasi ossessiva di loot.
Fin dalle prime ore, le missioni riguarderanno quasi esclusivamente la ricerca di punti di interesse, il raggiungimento di determinate aree o il recupero di oggetti. Proprio quest’ultima componente diventa presto preponderante. Sussiste infatti una quantità molto elevata di consumabili recuperabili dai nemici e dall’ambientazione. Questi sono indispensabili non solo per migliorare il proprio accampamento ma anche per craftare e/o migliorare equipaggiamento. Il risultato, spesso e volentieri, è quello di fetch quest travestite da necessarie spedizioni alla ridondante ricerca di materiali. La ripetitività purtroppo subentra presto. Non depongono poi a favore di Eternal Strands gli ammiccamenti alla ciclicità di design (artistici e ludici) a titoli ben lontani da un action RPG. Se pad alla mano avrete alcuni echi da Fortnite, beh, non possiamo contraddirvi purtroppo.

La carenza di un adeguatamente eterogeneo quest design viene a sua volta alimentato dalla modestia del sistema di combattimento nelle sue componenti fondamentali. Il Mantello è potente, ma di base Eternal Strands ci mette in mano spade, scudi, archi e chi più ne ha più ne metta. Ciascuna di esse presuppone un approccio diverso agli scontri, spingendo il giocatore a scegliere sempre l’opzione più efficace. Peccato però che gli scontri corpo a corpo siano perlopiù mediocri. Pattern banali di attacco, nemici fastidiosi fin dalle prime ore (perché le lucertole invisibili… perchè?), un lock-on che talvolta evidenzia la carenza di fluidità della telecamera. Chiariamoci, funziona tutto. Però la differenza tra la cura riposta nella realizzazione delle magie stride di fronte al lavoro poco più che sufficiente fatto sul resto del sistema di combattimento (per quanto residuale, ma pur sempre fondante).

Commento finale
Eternal Strands segna il gradito ritorno sulle scene videoludiche per Mike Laidlaw. Un action RPG che attinge dalle migliori lezioni di game design di The Legend of Zelda: Breath of the Wild e Shadow of the Colossus per creare un’avventura interattiva a più livelli, tanto galvanizzante nelle premesse quanto soddisfacente nella realizzazione. Purtroppo non si tratta di un progetto impeccabile, a partire da una direzione artistica eccessivamente derivativa passando per un quest design ripetitivo ed un sistema di combattimento acerbo nei fondamentali. Ad ogni buon conto, è impossibile non salutare con un plauso l’ambizioso progetto di Yellow Brick Games che ha il merito incontrovertibile ed indiscutibile di voler osare qualcosa di più rispetto alla maggioranza delle produzioni dello stesso genere. E non è cosa da poco, tutt’altro.






