Recensione Dahmer – Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer

Fra le serie che stanno spopolando di più in questi ultimi giorni sul Netflix, c’è Dahmer – Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer, che narra le vicende del noto serial killer cannibale, Jeffrey Dahmer. La serie è riuscita a raggiungere il traguardo di 196,2 milioni di ore guardate nella settimana dal 19 al 25 settembre. Un dato che le consegna il record di terza miglior premiere di tutti i tempi per una serie Netflix. Solo Stranger Things 4 (286,79 milioni di ore) e La casa di carta 5 (201,91 milioni) hanno fatto meglio. Addirittura superati gli esordi record di Bridgerton 2 (193,02 milioni) e della serie horror coreana Non siamo più vivi (124,79 milioni).

Storia in breve

Jeffrey Lionel Dahmer è nato il 21 maggio 1960 ed è deceduto il 28 novembre 1994; noto anche come Milwaukee Cannibal o Milwaukee Monster, è stato un serial killer statunitense che ha ucciso 17 giovani tra il 1978 e il 1991. È balzato alla cronaca per l’efferatezza dei suoi massacri: necrofilia, cannibalismo e addirittura la conservazione permanente di parti del corpo, in genere tutto o parte dello scheletro, dei cuori delle vittime, degli organi genitali. I corpi venivano dilaniati con una sega e ogni procedimento veniva meticolosamente documentato da Dahmer mediante fotografie. Le parti umane venivano conservate in freezer come cibo o disciolte direttamente nell’acido. Dahmer è noto anche per aver “tentato” alcuni esperimenti scientifici, come lobotomia a mezzo di acqua bollente o acido che veniva iniettata attraverso dei fori eseguiti nel cranio, allo scopo di “creare zombie”.

Sebbene gli fosse stato diagnosticato un disturbo borderline di personalità un disturbo schizotipico di personalità e un disturbo psicotico, Dahmer è risultato essere legalmente sano di mente al suo processo. È stato condannato per quindici dei sedici omicidi che aveva commesso in Wisconsin ed è stato condannato a quindici ergastoli il 17 febbraio 1992. Dahmer è stato successivamente condannato a un sedicesimo ergastolo per un ulteriore omicidio commesso in Ohio nel 1978; in totale ha ricevuto una condanna a quasi mille anni di carcere. Il 28 novembre 1994, Dahmer fu picchiato violentemente (e fino a causarne la morte) da Christopher Scarver, un compagno di cella del Columbia Correctional Institution di Portage, nel Wisconsin.

Una serie targata Ryan Murphy

Dahmer – Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer è stata ideata e creata da Ryan Murphy (noto per Nip/Tuck, Glee, American Horror Story, American Crime Story) la serie analizza gli orribili e cruenti delitti realmente compiuti da Jeffrey Dahmer ed i fallimenti sistemici che hanno permesso a uno dei più celebri serial killer degli Stati Uniti di perpetrare la propria follia omicida alla luce del sole per oltre un decennio. E lo fa ripercorrendo la sua vita, dall’infanzia fino ad arrivare agli ultimi giorni. Un personaggio particolare (interpretato da Evan Peters il quale ha offerto una performance magistrale ma allo stesso tempo inquietante, talmente realistica da fare paura), che ha manifestato i primi sintomi di “disturbo” già da bambino. Dahmer era infatti il primo di due figli; la madre: Joyce Annette (Dahmer) e Lionel Herbert Dahmer, uno studente di chimica della Marquette University e successivamente un chimico ricercatore. Alcune fonti riferiscono che Dahmer è stato privato dell’attenzione da bambino (tesi condivisa da molti studiosi del suo profilo criminale); spesso lasciato solo e “libero” di poter sviluppare l’indole malvagia che lo avrebbe accompagnato per tutta la sua vita. Altre, suggerirebbero invece il contrario. Quando Dahmer ha iniziato le scuole elementari, gli studi universitari di Lionel lo hanno tenuto lontano da casa per svariato tempo (cosa che ha contributo a sviluppare il carattere chiuso e apatico del figlio); quando era a casa, sua moglie, un’ipocondriaca che soffriva di depressione, richiedeva un’attenzione costante e trascorreva sempre più tempo a letto. In svariate occasioni, ha anche tentato il suicidio. Di conseguenza, nessuno dei due genitori dedicò molto tempo al figlio, il quale in seguito raccontò di essersi sentito, fin dalla tenera età, «incerto sulla solidità della famiglia», ricordando l’estrema tensione e le numerose liti tra i genitori durante i suoi primi anni.

Fin dalla tenera età, Dahmer ha manifestato interesse per gli animali morti. La sua passione per gli animali morti potrebbe essere iniziata quando, all’età di quattro anni, vide suo padre rimuovere delle carcasse di animali da sotto la casa di famiglia. Secondo Lionel, Dahmer era “particolarmente attratto” dal suono prodotto dalle ossa. Occasionalmente cercava altre ossa intorno alla casa di famiglia e vivisezionava i corpi di animali vivi per saperne di più. Dahmer iniziò a collezionare insetti come libellule e falene e scheletri di piccoli animali come scoiattoli e roditori vari. Alcuni di questi resti furono conservati in vasi di formaldeide e stivati ​​all’interno della casa. Addirittura durante una cena, Dahmer chiese al padre cosa sarebbe successo se le ossa di pollo fossero state immerse nella candeggina. Lionel, soddisfatto di quella che credeva essere una banale curiosità scientifica del figlio, dimostrò come sbiancare e preservare in sicurezza le ossa degli animali. Dahmer imparò egregiamente queste tecniche di conservazione che avrebbe più volte attuato durante i suoi omicidi.

Nella serie, tutti questi eventi vengono raccontati ma quasi mai mostrati dettagliatamente allo spettatore. Molte brutalità sono state rese chiaramente invisibili, perché ammettiamolo i crimini di Dahmer vanno ben oltre la crudeltà. Gli eventi narrati partono dal 1991 e nello specifico mostrando Tracy Edwards (Shaun J. Brown) che corre per strada a torso nudo e vistosamente sotto shock, il quale racconterà alla polizia che un uomo aveva cercato di ucciderlo. La polizia si reca quindi a casa di Dahmer (Evan Peters) per trovarsi davanti ad una vera e propria bottega degli orrori. Ed è quei che tutti scoprono la vera personalità di Jeffrey; all’apparenza un giovane educato e riservato che vive con sua nonna, ma che si “trasforma” completamente adescando giovani ragazzi nei locali (Dahmer era omosessuale), drogandoli, uccidendoli, smembrandoli e mangiandoli, senza l’accompagnamento di “fave e un bel chianti”. Per inciso, Il silenzio degli innocenti con Anthony Hopkins nei panni di Hannibal the Cannibal è stato pubblicato nel 1991, l’anno in cui Dahmer fu arrestato. Lo show va avanti e indietro da questo specifico evento, tornando all’infanzia di Dahmer e ai suoi (già citati) problemi di abbandono con sua madre Joyce (Penelope Ann Miller), la sua depressione e l’assunzione di pillole e le lunghe assenze da casa di suo padre Lionel (Richard Jenkins).

Dahmer finisce in un vero e proprio vortice senza ritorno; dedito fortemente all’alcool e a vivere in uno stato di assoluta solitudine. Lascia il college, prova vari mestieri, entra nell’esercito diventando medico da campo ma viene congedato (per la sua dipendenza dall’alcool). Il padre, ormai divorziato da Joyce e la sua nuova compagna, tentano di aiutare il giovane Dahmer sia economicamente e sia facendolo sottoporre a cure specifiche; purtroppo senza alcun risultato. Dahmer non riesce ad uscire in alcun modo dalla spirale che ormai lo ha inghiottito.

“Non guardare nell’abisso, perché l’abisso guarda anche dentro di te”

L’episodio più forte di questa serie – a nostro giudizio – è il sesto, “Ridotto al silenzio”, che è raccontato dal punto di vista di Tony Hughes (Rodney Burford). Anche se uomo di colore, sordo e gay, Tony non lascia che il mondo lo abbatta. È ottimista, cerca l’amore piuttosto che una frequentazione di una sera e aspira a diventare un modello. Il suono in dissolvenza in entrata e in uscita ci aiuta a vedere e ascoltare il mondo dal punto di vista proprio di Tony, che suo malgrado finisce per innamorarsi proprio di Dahmer. Nell’episodio quest’ultimo viene mostrato diversamente, quasi propenso a lasciarsi i suoi crimini alle spalle e cambiar vita. Invece, il demone interiore si risveglia anche contro il povero Tony, il quale viene assassinato (anche stavolta non viene mostrato nulla a riguardo) e privato del suo cuore, il quale verrà trovato impacchettato e conservato nel congelatore dell’appartamento di Dahmer.

La serie prosegue seguendo le conseguenze dell’arresto di Dahmer, il processo, lo sfogo di Rita Isbell (una parente di una delle vittime di Dahmer), i mass media, l’incarcerazione di Dahmer, la posta dei fan e la sua morte in prigione. Le conseguenze della follia di Dahmer sulle famiglie delle vittime è passato quasi in secondo piano nella serie Netflix, così come il razzismo che ha permesso a Dahmer di depredare le persone di colore. Quando una delle vittime scappata alla follia di Jeffrey, Ron, (Dyllón Burnside) chiede alla polizia, “ha più valore la parola di un uomo bianco con precedenti penali rispetto a quella di un ragazzo di colore senza precedenti penali?” non segue alcuna risposta … Ancora più tragico è il destino della famiglia laotiana, il cui figlio tredicenne è stato aggredito da Dahmer nel settembre 1988. Successivamente, nel maggio 1991, attacca il figlio minore, Konerak, (Kieran Tamondong). In modo orribile, quando Konerak scappa, la polizia lo scorta all’appartamento di Dahmer dopo che Dahmer li ha convinti che erano amanti. Dahmer poi uccide il 14enne. In tribunale, il padre di Konerak dichiarerà: “Credevamo nel sogno americano ma viviamo in un incubo, non c’è più nessuna soluzione, o via da seguire”.

La recitazione è eccellente così come la rappresentazione di quegli anni, il tutto impreziosito da alcuni brani iconici come Please Don’t Go di Joel Adams che accompagna alcuni intermezzi piuttosto forti. Molly Ringwald nei panni della matrigna incredibilmente comprensiva di Jeffrey, Shari, Michael Learned nei panni di Catherine, sua nonna, e Niecy Nash nei panni di Glenda Cleveland, la vicina tenace e coraggiosa di Dahmer, forniscono eccellenti spunti di interesse sul personaggio di Jeffrey Dahmer.

Commento finale

Il dolore e la morte non dovrebbero mai essere utilizzati per intrattenere; le famiglie delle vittime sono “arrabbiate” in quanto Dahmer – Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer ha riaperto vecchissime ferite. Ma la società ha bisogno di conoscere anche eventi tristi come questo e i serial killer per capire le loro motivazioni e cosa li ha resi dei veri e propri mostri. Come mai? In modo che possiamo imparare dai nostri errori e captare i segnali di pericolo in modo che il prossimo assassino possa essere fermato prima che sia troppo tardi. Alcune persone dicono che lo spettacolo glorifica Dahmer e i suoi crimini, ma questo non potrebbe essere più lontano dalla verità. La serie cattura la sua lotta per apparire normale, la sua inquietudine per avere un’esistenza “normale” e rivela che era umano, un uomo imperfetto, disturbato, malato, ma umano. Inoltre, ci fornisce si delle presentazioni “superficiali” di alcune delle sue vittime (fra cui Tony che ancora non riusciamo a toglierci dalla testa) e alle loro famiglie, ma anche i loro retroscena e consente di connetterci con loro, rendendole più di un semplice nome su un elenco. Quando si tratta di ciò che ha reso Dahmer un assassino, dobbiamo chiederci se fosse la natura o l’educazione, o forse il fatto che doveva nascondere la sua sessualità, ma la verità è che non lo sapremo mai. Era un uomo pericoloso e il mondo sta meglio senza di lui. Abbiamo guardato tanti documentari, film e serie sui serial killer e dobbiamo ammettere che Dahmer – Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer è la migliore attualmente in circolazione È straziante, brutale e molto più inquietante di qualsiasi film horror o mostro che potrebbe essere inventato di sana pianta da qualsiasi autore/regista. Se non avete guardato la serie vi esortiamo a farlo immediatamente, ma assicuratevi che non ci siano bambini in giro.

Prima di concludere, vi lasciamo alle parole di Dahmer al termine del suo processo:

«Ora è finita. Qui non si è mai trattato di cercare di essere liberato. Non ho voluto mai la libertà. Sinceramente, volevo la pena capitale per me stesso. Qui si è trattato di dire al mondo che ho fatto quello che ho fatto, ma non per ragioni di odio. Non ho odiato nessuno. Sapevo di essere malato, o malvagio o entrambe le cose. Ora credo di essere stato malato. I dottori mi hanno parlato della mia malattia, e ora mi sento in pace. So quanto male ho causato… Grazie a Dio non potrò più fare del male. Credo che solo il Signore Gesù Cristo possa salvarmi dai miei peccati… Non chiedo attenuanti.»

Riccardo Amalfitano
Riccardo Amalfitano
Videogiocatore sin dalla "tenera" età, amante anche di manga, cinema e serie TV. Ho dimenticato qualcosa? Sicuramente!

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