Homo Ludens: la salvezza dalla quarantena passa attraverso i videogiochi

Death Stranding è uscito l’8 novembre e nessuno aveva immaginato quanto il suo messaggio potesse diventare attuale (ancora di più) giusto pochi mesi dopo. Neanche Hideo Kojima stesso, per quanto possa essere vanitoso. Per assurdo ci siamo ritrovati nel giro di quattro mesi a vivere, qui in Italia, una realtà che assomiglia in modo angosciante a quella raccontata dalla sua opera. Al di là della facile ironia che circola sui social, i punti in comune ci sono. Non tanto a livello pratico, quanto sul fronte psicologico e umano. Viviamo in una situazione in cui tutti fatichiamo a empatizzare con gli altri, perfino con i nostri cari. Distanti, riusciamo a vederci solo attraverso uno schermo e ci sentiamo prigionieri in una gabbia confortevole. In questa situazione molti si stanno sfogando pigiando tasti su un controller. E ne stanno traendo conforto. Che sia proprio questa la trasformazione in homo ludens?

In Death Stranding, Kojima ci ha parlato di homo ludens partendo dal concetto espresso sul finire degli anni ’30 da Johan Huizinga. Lo storico olandese, tra i fondatori della cultura moderna, nel suo libro parlava dell’importanza del gioco come fondamento della società e della cultura. Nel testo egli sostiene che il gioco sia necessario allo sviluppo stesso di una cultura, intendendo “ludens” nel senso ampio della parola latina, in riferimento quindi anche allo sport, alla scuola e alla pratica in generale.

Circa 80 anni dopo, il visionario designer giapponese ha reinterpretato a modo suo la definizione di homo ludens, calandola in un contesto videoludico che ci parla, indirettamente, dell’importanza dei videogiochi nella società attuale. E al netto dei difetti, Death Stranding è una delle opere più importanti approdate su questo medium.

Chissà se a settembre, quando Keanu Reeves in visita agli studi di Kojima Productions scrisse questo messaggio – Save us, Hideo! – aveva immaginato quanto in effetti il significato della sua opera era importante.

Perché Death Stranding ci racconta della distanza tra le persone in una realtà in cui si vive rinchiusi, lontani gli uni dagli altri. Ma non solo. L’opera di Kojima ci propone anche una via d’uscita. Nel continente che attraversiamo nei panni di Sam Porter Bridges (Norman Reedus) gli esseri umani sono disconnessi. Il nostro compito è proprio quello di riconnetterli. Nel senso stretto del termine, riconnetterli alla rete chirale, ma anche in quello più ampio: riconnetterli in quanto persone che scambiano informazioni, banalità e affetto.

E noi?

Noi siamo già connessi. E il massimo che riusciamo a fare in molti casi è crogiolarci nel disagio della situazione. La paura della malattia e il malessere dello stare rinchiusi che portano a guardare con sospetto e diffidenza gli altri. E così ci si scorda anche di chiedere, semplicemente, “come stai?”.

Me ne sono accorto ieri, quando in un gruppo Whatsapp di amici storici, dopo giorni in cui si è parlato solo di morti e infetti, trasgressori della quarantena e militarizzazione, ci siamo fermati e ci siamo chiesti: “voi come state?“. E a quel punto ognuno si è raccontato, nello sconforto e nella difficoltà della situazione. Chi è rimasto a casa da solo, studente o lavoratore fuori sede, chi è tornato in famiglia e si ritrova in un appartamento affollato.

Mentre ognuno raccontava il suo modo di affrontare la situazione e il suo umore tendenzialmente basso, io ho spiegato come buona parte del mio tempo libero in questi giorni lo impieghi con i videogiochi. E nel dirlo mi sono reso conto, ancora di più, di quanto questo mi stia aiutando a gestire la situazione. Passare il tempo in modo non passivo, ma interattivo; calarsi in un contesto diverso, scambiare due chiacchiere e un po’ di risate con cuffie e microfono mentre si gioca on-line con un amico. Tutte queste cose tengono lontana la paura, la noia e l’ansia.

Il gioco giusto

Così è per tante altre persone, ognuno nel suo piccolo. Stiamo vivendo una situazione in cui tanta gente sta ritrovando il gusto di tenere un controller in mano. Capita così di leggere di genitori che chiedono ai figli qualcosa da giocare, per distrarsi e occupare il tempo. Ieri ho letto di una mamma che ha passato un pomeriggio intero a giocare a Silent Hill 2 su una vecchia PlayStation 2.

TantissimeHalf Life Alyx persone stanno riscoprendo il piacere di passare del tempo in una realtà parallela, senza quarantena. E in questo senso va detto che questo marzo videoludico ha aiutato non poco. Se il ritorno di Half Life è per molti fuori portata per i costi eccessivi, non sono comunque mancate le uscite importanti. Da Ori and the Will of the Wisps a Nioh 2, da Animal Crossing: New Horizons a Doom Eternal, fino ad arrivare alla riedizione di Persona 5 che uscirà tra pochi giorni, questo mese passato quasi interamente in quarantena ha regalato agli homo ludens tanto materiale da giocare.

Tra questi quello più rilevante in questo discorso è sicuramente l’esclusiva Nintendo. Animal Crossing è quanto di più lontano possibile dall’America post-apocalittica di Death Stranding, direte voi. E avete ragione, certo. Ma il nuovo capitolo della serie di life simulator rappresenta per tantissimi la possibilità di evasione da questa realtà di cui siamo prigionieri.

In questi giorni ho letto di innamorati distanti che si incontrano in Animal Crossing e di sposini che rimediano al fallimento della celebrazione organizzata sposandosi sull’isola. Al di là dell’estremizzazione di certe situazioni, è chiaro che un videogioco che ti permette di goderti l’aria aperta senza nessun pensiero al mondo, in un momento come questo, sia d’aiuto.

Che voglia di essere homo ludens

Ma al di là anche di Animal Crossing, sembra il caso di riflettere sul periodo che stiamo vivendo e sul ruolo dei videogiochi. Quante persone si stanno rendendo conto che i loro amici e parenti trovano una via di fuga con un controller in mano? Quanti di questi si stanno anche loro approcciando al gioco per sentirsi liberi? Come cambierà la percezione pubblica del videogioco e degli homo ludens una volta passato questo periodo terribile?

Sono domande che per adesso non troveranno risposta, ovviamente. Quello che possiamo fare noi, in quanto giocatori, è coinvolgere gli altri. I nostri amici, i nostri genitori, proporgli di giocare a qualcosa per passare il tempo, sia esso un videogioco, una partita a carte o una partita virtuale a Lupus in Tabula.

Hideo Kojima ci ha detto che siamo homo ludens e che “il futuro è nelle nostre mani“. E forse è davvero così. Forse la chiave per tenere in alto gli animi delle persone è proprio il gioco. Forse un videogioco ci ha mandato un messaggio reale, concreto e applicabile nell’immediato. E forse in quanto homo ludens quel messaggio dobbiamo farlo nostro e diffonderlo, riconnetterci agli altri e riconnetterli tra loro.

Death Stranding

Di Death Stranding forse non si è ancora detto tutto. Qui potete trovare un altro nostro appassionato articolo al riguardo.

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Andrea Scibetta
Andrea Scibetta
Gioco e scrivo, guardo film e serie tv, leggo libri e fumetti, disegno. Nel tempo libero faccio lo sviluppatore informatico

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