Back 2 the past – Final Fantasy VII, un cult del medium

Per molti giovani videogiocatori nati tra gli anni ‘80 e i primi anni ‘90 Final Fantasy VII  è stato un punto di svolta.

Correva l’anno 1997, la primogenita di Sony stava già raggiungendo un pubblico enorme, rendendo il gaming un intrattenimento ancora più pop che in passato. Nel pieno del passaggio alle tre dimensioni, una serie storica di GDR made in Japan non solo faceva il passaggio al 3D, ma anche quello da Nintendo a Sony. Inoltre Final Fantasy VII fu anche il primo ad avere una versione europea e una australiana, così come pure il primo ad arrivare anche in nord America rispettando la numerazione originale. 


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Per una serie di congiunzioni astrali  quindi la settima fantasia finale si trovò nella posizione di esportare in tutto il mondo la formula del JRPG. Contemporaneamente vantando anche una trama e un gruppo di personaggi profondi e facili da comprendere anche per un pubblico occidentale.

Il titolo Square Soft riuscì quindi a imporsi come il gioco di ruolo giapponese per eccellenza, un caposaldo del panorama videoludico dell’epoca. E riuscì anche a superare i 10 milioni di copie vendute, che non sono affatto poche. Assumono un ulteriore importanza se si pensa che era l’epoca d’oro della pirateria. 

Non più solo “giochini”

Una serie di presupposti resero insomma Final Fantasy VII un titolo estremamente diffuso. E per questo motivo fu un punto di svolta, come dicevamo, per molti ragazzini che all’epoca avevano 8, 12, 15 anni. Nella sua grafica che univa personaggi renderizzati in tempo reale e sfondi prerenderizzati, oggi quasi ridicola ma all’epoca estremamente all’avanguardia, il viaggio di Cloud e compagni sul pianeta Gaia era un’esperienza matura e in qualche modo diversa da tutto il resto. 

Una serie di personaggi che seguivano sì molti stereotipi classici della cultura giapponese, ma che avevano ognuno una storia e uno spessore, qualcosa da raccontare. Ognuno rappresentava una diversa sfaccettatura di un popolo in qualche modo oppresso dai sovrani. Un mondo che univa Cyberpunk, Steampunk e Dieselpunk in un racconto che in modo (neanche troppo) velato parlava di attualità, ecologia e lotta di classe. 

Gaia è il pianeta su cui prendono atto gli eventi del gioco. Un mondo in cui il Lifestream, la linfa vitale che scorre nella terra e negli esseri viventi, unisce tutto ciò che esiste. In uno scenario sostanzialmente panteista, la ShinRa è un’azienda tentacolare che ha portato l’energia nelle case di tutti. Lo ha fatto però raffinando il Lifestream per produrre energia Mako utilizzando degli enromi reattori.

La trama prende il via dalla città di Midgar, sede di questa azienda e quadro perfetto dello spaccato tra ricchi e poveri che Gaia ci mostrerà. Nei panni di una cellula di ecoterroristi che vuole salvare il pianeta ci troveremo poi invischiati in una situazione molto più grossa e pericolosa del previsto. Da Midgar ci sposteremo poi ed esploreremo l’intero pianeta, che di segreti da svelare ne ha ben più di uno. 

Il tema centrale: la morte

Ciò che segnò molti giovani e meno giovani che allora si approcciavano al videogioco come puro intrattenimento fu, su tutto, il modo di affrontare la morte di Final Fantasy VII. Per quanto alcuni avvenimenti della storia della trama siano ormai nella cultura pop tanto quanto la paternità di Darth Vader su Luke Skywalker, qui eviteremo di fare alcun tipo di spoiler. Tuttavia bisogna rimarcare quanto in più occasioni il settimo capitolo passi facilmente da momenti comici ad altri seri, duri e difficili da mandar giù, soprattutto per i più giovani. 

Bisogna dire che tutta la trama di Final Fantasy VII si basa sulla morte. Da un lato intesa come ritorno alla terra e al Lifestream, al flusso vitale di cui tutti in fondo facciamo parte. Dall’altro le morti nella trama del gioco rappresentano dei turning point fondamentali, in qualche modo ragion d’essere dell’opera stessa, senza le quali non avrebbe avuto lo stesso potere comunicativo.

Come dicevamo, una storia matura, che ha saputo schiaffeggiare con la sua brutalità nel raccontare appunto la morte, ma anche lo stupro, la corruzione, la criminalità, la guerra. Un mondo sfaccettato e coerente, indimenticabile. 

Non stupisce quindi l’importanza che Final Fantasy VII ha avuto per il mondo dei videogiochi e la cultura pop in generale. Sicuramente il gioco che più di tutti ha lanciato il Giappone videoludico nel resto del mondo, ma anche uno di quelli che ha contribuito a sdoganare alcuni limiti del medium. Non l’unico ovviamente, ma se oggi parliamo del videogioco come di ottava arte è anche grazie a questo titolo. Se oggi rappresentare la morte e la sofferenza, o perfino il genocidio, in un gioco è possibile lo dobbiamo anche a Final Fantasy VII. 

Da gioco a saga

Per tutti questi motivi, negli anni dal titolo del 1997 è nata una vera e propria serie, autonoma rispetto a quella degli altri Final Fantasy, coinvolgente vari spin off, anche su medium diversi.

Abbiamo avuto altri tre giochi ambientati su Gaia, ossia Before CrisisCrisis CoreDirge of Cerberus. I primi due, usciti rispettivamente su cellulari e su PSP, sono dei prequel che raccontano gli eventi che portarono alla storia principale. L’ultimo invece è un seguito che segue i passi di Vincent Valentine, uno dei personaggi giocabili opzionali del gioco originale, ed è uscito su PS2. Oltre a questi sono stati prodotti anche un film, Advent Children, ambientato due anni dopo la storia Final Fantasy VII Remake Finale Zackdel gioco originale, e un romanzo. 

Non tutte le opere scaturite dal titolo del ’97 hanno avuto il successo sperato. Né, bisogna dirlo, potevano vantare la stessa qualità del gioco originale. Tra i nomi citati spicca sicuramente Crisis Core, che racconta la storia di Zack Fair, un SOLDIER al soldo della ShinRa la cui carriera lo porterà a conoscere Cloud. Con il ragazzetto biondo di Nibelheim Zack instaurerà un rapporto speciale, diventandone quasi un maestro, e gli eventi poi li porteranno ad un’avventura assieme.

Tra gli spin off è degno di attenzione anche il lungometraggio Advent Children, che racconta il mondo dopo gli eventi del gioco. Va detto che non è esente da difetti, e utilizza una narrativa sicuramente più giapponese rispetto all’universalità che ha distinto l’opera del ’97.

L’eredità vivente

In qualche modo quindi l’ombra di Final Fantasy VII ha continuato a persistere anche negli anni successivi, di fatto segnando anche la generazione degli anni ‘90 e dei primi 2000, che nello scoprire i titoli successivi e gli spin off si trovava di fronte quello che ormai era quasi un mito, sicuramente un videogioco cult.  

L’importanza di quest’opera è tra le maggiori per tutta l’industria del videogioco, e lo dimostrano anche le reazioni che ha scatenato nel pubblico l’annuncio di un remake del gioco originale. Di questo remake ad oggi abbiamo visto la prima parte, che ha saputo indubbiamente attualizzare e rendere giustizia all’opera di riferimento. Possiamo solo sperare di scoprire presto come continuerà questa rivisitazione e che mantenga il livello di qualità dimostrato. Nel frattempo nulla ci vieta di riscoprire la magia nascosta dietro quei poligoni, e commuoverci ancora una volta mentre le note di Nobuo Uematsu ci toccano nel profondo dell’anima. 

Andrea Scibetta
Andrea Scibetta
Gioco e scrivo, guardo film e serie tv, leggo libri e fumetti, disegno. Nel tempo libero faccio lo sviluppatore informatico

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